Un Campionato NCAA, Sei campionati NBA vinti, sei anelli al dito, sei volte MVP delle Finals NBA, cinque volte MVP dela stagione regolare, tre volte MVP dell’All-Star Game, una volta Migliore Difensore dell’Anno, Rookie dell’Anno, due volte Campione Olimpico.
tre volte capoclassifica nelle Palle Rubate, tre volte capoclassifica nei minuti giocati, nove volte nell’All-Defensive First Team, due Volte vincitore dello Slam Dunk Contest, undici volte selezionato nel team All-NBA, quattordici volte All-Star.
La media di 30,12 punti realizzati a partita (la più alta di sempre) , Dieci Volte Miglior Realizzatore dell’NBA. per la media, undici volte miglior realizzatore NBA per i punti totali. Maggior numero di partite con almeno 30 punti realizzati (563 per la precisione. Miglior media di punti realizzati a partita nei playoff (33.45 punti realizzati a partita).
Il Miglior Giocatore di Basket di sempre.
Diversi soprannomi, Air, His Airness, MJ.
Una carriera indimenticabile, con alcuni dei momenti da ricordare, ma non tutti sicuramente.
Come quando prendeva in giro con la finta Malik Sealy, come quando contro gli Indiana Pacers segnò per la prima volta allo scadere il canestro della vittoria, come i 61 punti contro Detroit, come quando fu battuto da Dominque Wilkins (dubbia sconfitta) alla gara delle schiacciate e come quando due anni dopo si prese la rivincita.
Come quando decise di usare le scarpe di 14 anni prima, come quando Doug Collins decise di farlo giocare playmaker e lui rispose con 15 assist di media, come uno per uno tutti quei 32.352 punti della sua carriera, come le prime sfide contro i Los Angeles Lakers di Magic Johnson.
Come quei 30 punti che realizzò la prima volta che giocò contro Kobe Bryant, come i momenti fuori dal campo (al cinema con Space Jam ad esempio), come quel San Valentino del 1990 quando giocò con la maglia numero 12 (prima ed ultima volta), come quando tirò i tiri liberi con gli occhi chiusi, come tutti gli spot realizzati (dal Gatorade Be Like Mike al She’s Gotta Have It diretto da Spike Lee, senza dimenticare la pubblicità di McDonald’s con Larry Bird).
Come i 64 punti rifilati agli Orlando Magic di Shaquille O’ Neal, come quando schiacciò in faccia a Dikembe Mutombo (all’epoca miglior stoppatore della lega), come la volta che realizzò la prima tripla doppia in un All-Star Game nella storia dell’NBA, come quando realizzò 50 punti a quasi trentanove anni, come quando torni dicendolo con tre semplici parole “I’m Back”.
Come quando battè Sir Charles Barkley e i suoi Phoenix Suns, conquitando il primo Three Peat, come quando disegnò lo schema e diede l’assist per la vittoria a Steve Kerr, come quando vinse il suo secondo Three Peat, come quando umilio Karl Malone, come quando a 40 anni segnò 40 punti.
Come quando realizzò il The Shot, come quando fece nuovamente il The Shot, come tutti i suoi canestri al buzz beater, come quando realizzò 69 punti contro i Cleveland Cavaliers, come quando camminava nell’aria.
Come quando schiacciò in testa a Patrick Ewing, come tutta quell’estate del 1992 quando ci fece sognare con il Dream Team, come quando realizzò 63 punti contro i Boston Celtics e Larry Bird disse “Penso che sia Dio travestito da Michael Jordan“, come le sei triple realizzate in un tempo contro i Portland Trail Blazers di Clyde Drexler.
Come quando cambiava mano in volo andando in sottomano, realizzando il suo famoso Righty-to-Lefty Layup, come quel tiro allo scadere contro gli Utah Jazz in gara 6 delle finali NBA, come ogni momento con i Chicago Bulls e con i Washington Wizards, come ogni sua partita, come ogni attimo in campo, come ogni volta che ci ha fatto sognare.
Il suo nome è Michael Jordan, si, e a me piace ricordarlo così, fuori dal campo, nel momento in cui è stato nominato tra i più grandi giocatori di sempre, e nel momento in cui i più grandi di sempre lo hanno nominato il migliore tra loro.
Buon Compleanno a Sua Maestà L’Aria.